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Studio Legale Piantanida

I rapporti tra figli e genitore sociale dopo la “separazione”

Molte sono, in Italia, le coppie formate da persone dello stesso sesso: coppie unite civilmente, sposate all’estero o semplicemente coppie “di fatto”.

Talvolta, tali coppie si trasformano in famiglie più ampie, con la presenza di figli nati da precedenti relazioni eterosessuali oppure nati con tecniche di fecondazione eterologa, all’esito di un percorso condiviso dalla coppia.

In questo secondo caso, il minore nasce nell’ambito di un preciso progetto familiare, che implica la presenza di due padri o due madri, più precisamente quei due padri/due madri che hanno pensato, voluto e portato avanti il loro progetto di famiglia.

Tuttavia, la relazione sentimentale che unisce la coppia genitoriale può finire e i minori rischiano di vedere scomparire dalla propria vita, da un giorno all’altro, una delle proprie figure di riferimento, uno dei propri genitori.

Invero, se il c.d. genitore sociale non ha adottato il minore ai sensi dell’art. 44 l. 184/83 divenendone ufficialmente genitore, non sussiste alcun legame giuridico tra l’adulto e il bambino e dunque nessun diritto-dovere di frequentazione, mantenimento ecc.

Come intervengono dunque i Tribunali in questi casi? Le soluzioni al problema sono molte e molto diverse tra loro: l’ultima è stata assunta dalla Corte d’Appello di Bologna in data 27 febbraio 2020.

Questo il caso: due donne, dopo circa 7 anni di relazione sentimentale, nel 2014 sono diventate madri di una bambina, nata all’esito di PMA effettuata in Spagna.

Poco dopo la nascita della figlia, le due donne si sono sposate in Norvegia e ivi hanno stipulato un contratto notarile di convivenza, che regolamentava anche la genitorialità.

In tale contratto era previsto che la madre sociale, in caso di fallimento della relazione sentimentale, avrebbe continuato ad assumere le decisioni relative alla figlia, unitamente alla madre biologica, avrebbe frequentato la minore con assiduità e avrebbe provveduto – pro quota - al suo mantenimento.

Tuttavia, dopo circa tre anni dalla nascita della figlia, cessata la relazione sentimentale tra le due donne, la madre biologica della minore ha impedito ogni contatto tra quest’ultima e la propria ex compagna, rifiutando anche ogni contributo economico.

Non disponendo di alcuno strumento giuridico, la madre sociale ha sollecitato l’intervento del Pubblico Ministero, segnalando che la condotta ostativa della madre biologia avrebbe creato un pregiudizio alla minore.

Il Tribunale per i Minorenni dell’Emilia-Romagna, adito dal PM, ha dunque incaricato i Servizi Sociali di svolgere un’indagine sul nucleo familiare.

Ad esito di tali indagini, i Servizi Sociali hanno riferito che, benché la madre sociale avesse accudito la minore nei primi anni di vita, la bambina non riconosceva la donna quale proprio genitore.

Per tale motivo, il Tribunale per i Minorenni ha escluso la sussistenza di un pregiudizio per la piccola e ha rigettato le domande del PM e della madre sociale.

Avverso tale decisione ha proposto appello la madre sociale, chiedendo che il proprio legame con la minore fosse valutato in modo più approfondito e specifico da un Consulente Tecnico.

Disposta la consulenza tecnica, il CTU ha rilevato come, in effetti, la minore non ricordasse spontaneamente la propria madre sociale né il legame che aveva con lei.

Tuttavia, incontrata la donna e condiviso con lei momenti di gioco, la minore ha immediatamente manifestato molto affetto e vicinanza fisica nei suoi confronti, dicendo di volerle bene e di volerla rivedere.

Il CTU ha rilevato che “Z [figlia] è stata concepita in un progetto familiare dalla coppia, e se si escludesse la signora X [madre sociale] dal progetto familiare, Z si troverebbe ad avere relazione solamente con una delle persone che ha concepito questa idea di genitorialità, pur ad oggi non essendone Z consapevole. […] Se ci si pone la domanda in merito all’esistenza di un danno che deriverebbe alla minore dalla privazione della signora X, il sottoscritto ritiene possa un domani per Z avere importanza sapere che è stata concepita in un’idea di coppia che si amava al momento del concepimento e che costituiva una famiglia. La letteratura ritiene, inoltre, che il principio di bi-genitorialità sia utile allo sviluppo di un bambino, pur in questo caso non per l’introiezione di ruolo paterno e materno, ma per la ricchezza che la diversità relazionale e di metodi educativi può portare a un bambino. A questo proposito si è osservato che le due donne hanno differenti stili educativi la cui integrazione potrebbe arricchire lo sviluppo di Z (perché ciò possa avvenire le due donne dovranno lavorare per gestire le proprie diversità educative, superando gli aspetti conflittuali). A ciò si aggiunga che nel caso in cui Z un domani dovesse venire a conoscenza dell’esistenza dell’altra figura genitoriale, attualmente estromessa, ne conseguirebbe un sicuro danno in quanto gli anni di relazione persi con questa figura genitoriale non potrebbero più essere recuperati. […] Il benessere attuale di Z non evidenzia un danno attuale in caso di estromissione della signora X, ma quanto sopra descritto porta il sottoscritto a non escludere un danno futuro, oltre a segnalare che la presenza di due figure genitoriali, con le loro qualità e differenze, è elemento di arricchimento per la crescita di una bambina”.

Ad esito della CTU, la Corte d’Appello ha rilevato che la “scelta unilaterale e non giustificata” della madre biologica di interrompere ogni rapporto tra la figlia e la ex compagna “ha influito inevitabilmente, a beneficio della stessa, sull’esito del procedimento” di primo grado, poiché l’interruzione era avvenuta quando la figlia era molto piccola ed è perdurata per molto tempo. “Ciononostante, nel corso della consulenza è emerso che Z non ha dimenticato il genitore sociale”.

Benché il contratto notarile stipulato in Norvegia non abbia efficacia in Italia e benché al caso di specie non si possano applicare le norme di cui agli artt. 316 e 337 bis e ss. del codice civile, poiché la “madre sociale” della minore non ne è legalmente il genitore, la Corte ha ritenuto di potere, anzi dovere, prevenire ogni pregiudizio per la minore, assumendo i provvedimenti più opportuni ex art. 333 cod. civ.

Sulla base di queste premesse, la Corte d’Appello ha accolto la richiesta della madre sociale di potere frequentare la bambina, disponendo che i Servici Sociali ne curino il riavvicinamento e invitando le due donne ad intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità, nell’interesse della figlia.


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Pubblicato lunedì 29 giugno 2020
da Studio Legale Piantanida
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